lunedì 24 agosto 2015

Quando il tempo sembrava abbastanza.

Ci riscopriamo umani nelle tragedie.
Passo tanto tempo a chiedermi se sia deleterio o meno rivestirsi di un'anaffettività generalizzata ma purtroppo incredibilmente selettiva.
Quello che non sento non vuol dire che non esista, è solo altrove e quando scoppia, il boato è tremendo.

Altrove sa che faccia hai e sa come venire a trovarti.
Altrove non è nessuno, ma ti fa ballare più di tutti.
Altrove sa che non è colpa sua, ma il lavoro è una cosa sacra.

E così (ri)scopro di essere umano e di non essere impermeabile, al massimo antivento.



lunedì 20 aprile 2015

Zapoj!

È che io non mi faccio mai un'idea delle tragedie e degli eventi in generale. O meglio, me la faccio, ma ho paura di riconoscerla e non riconoscere più me stesso.
Io cambio, mi muovo, mi vesto e svesto di mille pensieri. Non posso averne uno - unico - per le tragedie! Ci sono troppe facce che compongono il diamante dell'abominevole: oggi penso, "meno male che son morti", domani invece sarà il dramma dei sentimenti.
Ma come fate voi a parlare? A dire quello che pensate e non pensare di non pensarlo più dopo averlo pensato?
Azione razionale rispetto allo scopo, direbbero gli scafisti.
Azione razionale rispetto al cagare fuori dal vaso, direbbe Weber.
Esistono davvero, quindi, dei tipi ideali di azione catalogabili, tracciabili e definibili empiricamente?
Ha senso essere tanto cattivi, o non ha senso esserlo così poco?

Se avete capito quello che volevo dire, mi fa piacere. Io l'ho compreso bene, ma già non lo riconosco più.